MATTEO GIANNINI
I
MIEI RICORDI DELLA GUERRA 1940-1945
Sono
Matteo Giannini, sono laureato in Ingegneria elettronica, e da
molti anni,
risiedo negli U.S. A. Quando l'Italia entrò in guerra, il 10
giugno 1940, io terminavo
la prima liceale al "Machiavelli" di Lucca. Preside
Dinucci: ardente fascista; mio
padre, professore di Scienze Naturali, ardente ma prudente antifascista.
Non poteva permettersi di perdere il lavoro, aveva una famiglia con
tre figli. Le sue idee, già da tempo, avevano permeato
irrevocabilmente il mio
spirito. Fra i ricordi dei primi giorni della guerra mi sono
rimaste in mente le
parole che l'Avvocato Giovanni Carignani (Medaglia d'Argento al
V.M. e ferito della I
Guerra Mondiale, disse scendendo le scale del Tribunale mentre io
le stavo salendo. "La flotta francese", egli disse, ha
bombardato Genova!". Con
quella frase egli manifestava il suo dolore di italiano per
l'avventura in cui l'Italia era stata trascinata e,
soprattutto il rispetto per i Francesi che, pur avendo il loro
territorio invaso dai nazisti, si battevano con valore e con onore
sul confine italiano e trovavano anche l'energia per avvicinarsi,
via mare, al territorio
italiano, bombardando addirittura Genova, uno dei porti più importanti
dell'Italia).
Il
mio babbo ammirava intellettualmente i tedeschi, ma sarebbe un
grave errore parlare di questa
alleanza con superficialità. In quel periodo storico, infatti,
dire popolo tedesco significava dire il neopaganesimo nazista il
cui programma, oltre alla totale eliminazione fisica degli ebrei,
prevedeva la soggezione di tutti i popoli europei di origini
latina, considerati inferiori.
In
Italia, dal 1925, il fascismo aveva eliminato qualsiasi tipo di
opposizione e,
sprovveduto di qualsiasi critica, il suo capo dichiarò una guerra
contro le potenze maggiori del
mondo. Esse avrebbero potuto sostenerla per molti anni,
ma l'Italia, non avendo le materie prime indispensabili, avrebbe
esposto ad un inutile
sacrificio, come purtroppo avvenne, la vita della sua migliore gioventù.
Fu questa la constatazione degli esponenti nazionali del fascismo che,
riunitisi il 25 luglio del 1943, destituirono Mussolini dalla sua
carica; e l'armistizio dell'8 settembre 1943 rappresentò
il tentativo, male organizzato ed attuato, che lo Stato monarchico
cercò di fare per evitare altre tragedie all'Italia.
Dall'estate
del 1943 fino all'8 di ottobre del 1944 la mia famiglia sfollò nella
casa dei suoi avi a San Cassiano di Controni. Dopo l'8
settembre '43 cominciò un via
vai di prigionieri alleati fuggiti dai campi di prigionia in
Italia, di militari
italiani scappati dalle caserme, di sfollati provenienti da varie
parti della Toscana, e poi di Partigiani. Un giorno sul crinale
del Prato Fiorito che sale
da Palleggio alla cima del monte, guardando contro il cielo, si
vide una lunga fila di
uomini che si arrampicavano su su. Poi si seppe che era
"Pippo" (Manrico
Ducceschi, a fine guerra insignito dagli U.S.A. della Bronze
Star), che con tutti i
suoi uomini, molti dei quali, come lui, ex militari, si ritiravano
dai monti di Pescia, troppo facilmente raggiungibili, sugli
impervi monti sovrastanti la
Controneria, nella località detta "Seviglioli". Con
"Pippo" c'era un ufficiale inglese del Sud Africa
con una radio con la quale manteneva il contatto
con la V Armata americana comandata dal generale Alexander. Pochi giorni
dopo avvenne un fatto tragico: il dentista di Palleggio Dott.
Martini, un fascista conosciuto in tutta la Val di Lima, fu
messo al muro della chiesa di
fronte alla sua casa e fucilato su due piedi. L'autore della
fucilazione aveva eseguito
un ordine preciso del Comandante dell'XI Zona Militare Patrioti e
non aveva agito su sua iniziativa. Successivamente si è appreso
che al Comando era giunta notizia che egli stava favorendo
l'insediamento di un reparto
di fascisti della Repubblica di Salò nella nostra zona. Quella
presenza avrebbe reso
impossibile la sopravvivenza di una Formazione Partigiana che si
era prefisso lo scopo di rendere difficile il transito sulla
statale del Brennero. I tedeschi la utilizzavano infatti
per rifornire la prima linea così da rendere ancora
più lunga la guerra che avrebbe procurato soltanto ulteriori
danni a tutti gli italiani. Fra le donne, invece, che
evidentemente non avevano mai digerito
la cosiddetta "donazione" delle loro fedi d'oro alla
Patria, si sparse la voce
che nella casa del Dentista ne era stata trovata addirittura una
damigiana. Questa voce era una leggenda, la vera causa fu senz'altro quella di dare un
esempio che avvertisse, impressionasse e scoraggiasse chiunque in
Val di Lima avesse voluto seguire il suo esempio.
Una
notte, sul far dell'alba, fummo svegliati da un boato spaventoso:
dalla finestra
si vide la Valle della Lima tutta piena di fumo. Accorremmo con
altra gente
sul Colle di Cocolaio e di lì si vide che il ponte di Palleggio
era stato fatto saltare dai Patrioti di "Pippo".
L'interruzione della Statale N° 12 del Brennero era un'operazione
militare importantissima perché non esistevano le
autostrade, fatta eccezione per la Firenze - mare ad una sola
corsia.
Ovviamente
la reazione tedesca non tardò a scatenarsi. Da Bagni di Lucca
cominciarono a bombardare coi mortai i paesi della Controneria. Ad
un certo momento
mio padre vide il campanile della Pieve di Controni avvolto da una
nuvola di fumo; disse "Addio
il campanile; ora bisogna sloggiare davvero! Viceversa
furono due falsi allarmi: 1° perché il campanile rimase intatto (penso
fossero bombe fumogene lanciate più per far paura che danni) e 2°
perché lo sloggiamento non
avvenne per lo meno subito; infatti, in poche ore,
i Patrioti occuparono militarmente in forza tutto il paese, per
prepararsi contro un
probabile attacco tedesco. In paese c'erano molti fascistoni, uno era
chiamato "il Duce", più la combriccola di quelli
intorno al Rettore; ma la maggioranza erano antifascisti,
gli altri indifferenti.
I
Patrioti cominciarono ad arruolare i giovani del paese che
volevano unirsi
a loro ed infatti molti lo fecero. Anch'io mi unii con loro
insieme al mio amico Eros, figlio di Mariona, e fra gli altri
anche il Cappellano Don Livio
Talenti.
Io
ed Eros fummo piazzati con altri, sulla punta del Col del Poggio
prospiciente le Fabbriche di Casabasciana: ci dettero armi e
munizioni e l'ordine
di sparare sulla cartiera dove si erano trincerati i tedeschi.
Purtroppo le
armi mie e di Eros non avevano una portata sufficiente per
raggiungere la
cartiera e le nostre pallottole cadevano a mezza strada. I
contadini che guardavano
le bestie si lamentarono poi di aver sentito molte pallottole
morte cadere
su di loro. Le pallottole tedesche arrivavano e come! Eros ed io
si stava riparati sotto un
albero ed ogni tanto si vedevano cadere i rametti stroncati dalle
pallottole intorno a noi. Poi i tedeschi abbassarono il tiro e
colpirono una roccia dietro la quale stava trincerato un
nostro compagno: la pietra schizzò in frantumi e le scheggie colpirono seriamente la faccia del giovane che cominciò
a grondare sangue. Finalmente si videro i tedeschi abbandonare la cartiera
con mezzi blindati e ritirarsi verso Bagni di Lucca. L'azione per
quel giorno era
terminata, evidentemente con successo. Io ed Eros scendemmo, con
molta cautela, alle Fabbriche: davanti alla cartiera trovammo un
tedesco morto stecchito. Era
un giovane come noi, strappato alla sua casa. Era biondo e bello e
ci fece molta impressione.
Ritornammo
mogi, mogi a San Cassiano dove passammo la notte in casa del
Cappellano. Dopo quello scontro che aveva interessato numerosi
gruppi di Patrioti lungo la
linea di fronte posta a ridosso di tutta la Val di Lima, il Comandante
"Pippo" decise di far ritirare gli uomini, compresi
quelli che si erano uniti
a noi, nella sede del comando a Seviglioni e nelle sedi degli altri
Distaccamenti sul crinale dell'Appennino. La popolazione, temendo una
rappresaglia tedesca che non avvenne mai, si spostò verso i monti
che riteneva più sicuri e si verificò l'esodo in massa, inclusa
anche quello della mia
famiglia. Io con Eros ci caricammo sulle spalle una grossa
mitragliatrice Bren, pesante 7 od 8 chili ed iniziammo la faticosa
ascesa. Nelle "Campora", stanchi
e affamati, bevemmo un mezzo secchio di latte offertoci dalla
"Cola", nostra
contadina, e a notte inoltrata raggiungemmo Seviglioli dove
dormimmo in una capanna.
All'alba
sentimmo ronzare un aereoplano e dissero che probabilmente era
un aereo inglese che veniva a lanciare rifornimenti, armi e
munizioni. Viceversa era tedesco
e sganciò diverse bombe a casaccio senza colpire nessuna
capanna.
In
giornata "Pippo" organizzò diversi sotto gruppi in
varie località. Io fui assegnato al gruppo di Carlino Mariani, a Granaio, sul monte di
Limano. Partimmo subito, si era una trentina. Carlino ci
mise con altri due di Lucca, Nannipieri
e Caramelli, ad una postazione di mitragliatrice in cima a un picco
dominante, duecento metri sotto la mulattiera che veniva da Limano
a Granaio, con l'ordine di sparare su chiunque venisse su, italiano o
tedesco. Io non avevo voglia di ammazzare nessuno e
fortunatamente l'occasione non si presentò
mai; però era postazione tremenda perché anche una fila di
cinquanta uomini
sarebbe stata falciata dalla mitragliatrice in meno di un minuto
senza che si rendessero conto di dove venivano le
pallottole.
Limano
era
così fra l'incudine e il martello, con i patrioti italiani di
sopra e i tedeschi di sotto, a Ponte
a Coccia sulla statale del Brennero. Però noi ci passammo
un mese sereno: avevamo due tende; io dormivo con uno studente di
Lucca, Mario Nannipieri, che divenne subito mio amico. Carlino ci
mandava il cibo su da Granaio e non soffrimmo mai la fame.
Io e Nannipieri, ricevuto qualche
giorno di licenza, li trascorremmo a casa mia a San Cassiano dove,
nel frattempo, la mia famiglia era rientrata perché sembrava che
le cose si fossero calmate un po'.
I
militari di quel periodo erano austriaci, galantuomini. Successero
anche episodi
curiosi: vennero a casa nostra due soldati tedeschi che
rastrellavano il
bestiame nel paese; scesero da soli nella stalla e videro che
c'era un grosso
ciuco, un'ottima bestia da soma. Il Fattore lo usava per
trasportare i rifornimenti
sui monti e generalmente lo teneva nella stalla di un contadino alla
Traia, un luogo molto isolato dove non andava mai nessuno.
Era convinto che anche quel
giorno il ciuco fosse alla Traia. I due austriaci bussarono
alla porta del Fattore e chiesero se c'erano bestie nella stalla e
lui disse di no. Siccome non
parlavano bene l'italiano fu chiamata una signora tedesca sfollata
che ci conosceva bene e lei disse loro che il Fattore era una
persona onesta di cui potevano fidarsi; ma, dietro la loro
insistenza, scesero tutti e quattro nella stalla. Quando il
Fattore vide il ciuco, per poco non svenne: si
buttò in ginocchio chiedendo perdono della sua cattiva memoria.
La più che ci rimase
male, però, fu la signora tedesca. Come già detto i due soldati erano
galantuomini, austriaci cattolici, credettero all'innocente errore,
cioè non punirono
nessuno, ma... la bestia se la portarono via!!
A
Lucca ero ricercato come renitente alla leva della R.S.I. e i
Carabinieri vennero a cercarmi a San Cassiano, ma mio padre disse
loro di non aver la minima
idea di dove io fossi; loro dissero che sarebbero ritornati e che
se non mi
avessero trovato, avrebbero portato via lui. Per questo anche mio
padre si trovò personalmente coinvolto.
A
Bagni di Lucca, mentre sembra che dovessero andare a Banja Luka (Jugoslavia),
per nostra disgrazia giunsero delle S.S. A Bagni di Lucca c'erano
e ci rimasero per nostra somma sfortuna. Cominciarono a
rastrellare tutti i
paesi cercando armi e "banditen", coadiuvati dalle spie
locali e dalle Brigate
nere che si erano molto imbaldanzite. Fucilavano o impiccavano su due
piedi, a seconda della gravita dell'accusa, ma io credo anche
dell'umore del
comandante.
Non
c'è quasi nessun paesetto che non abbia, in fondo alla lista dei
Caduti in
guerra (Albania, Russia, Grecia, etc.) due o tre nomi di Caduti
per la Resistenza.
A San Cassiano ce ne sono tre.
L'intento
delle S.S. era quello di rastrellare tutta la Controneria fino al crinale
dell'Appennino, cioè oltre Seviglioli.
A
causa dei combattimenti del giugno la Formazione non disponeva
delle armi
e delle munizioni necessarie a far fronte ad un nuovo
combattimento, ed
una resistenza inadeguata avrebbe provocato più danni che
vantaggi alla popolazione
civile. Per questo motivo, "Pippo" fece credere che l'XI
Zona si
fosse sciolta, mise in libertà gli ultimi arrivati dei quali non
conosceva la preparazione
e lo spirito combattivo, e con una colonna di uomini si spostò in
Emilia dove sapeva che era caduti per errore dei lanci di armi e
munizioni destinati alla sua
Formazione. Alcuni del luogo, come me, rimasero nella zona perché,
nascondendo bene le armi, non nelle capanne o nelle buche, ma
nelle grotte inaccessibili, conosciute solo dai pastori
nostri amici sicuri, eravamo certi
di poter sfuggire alle SS. Spie fra i pastori non ce n'era e non
ce ne furono mai! ! Il
passaggio della Linea Gotica per raggiungere gli Alleati ormai a
Pescia, interessò diversi volontari che erano stati rimessi in
libertà. Ma tale passaggio
era assai pericoloso a causa delle mine per le quali alcuni
persero la vita. Un nostro amico, "Baccano", saltò
su una piccola mina, si salvò la vita, ma
ci perse una gamba. Per molti anni, dopo la guerra, fu visto
zoppicare con una gamba
di legno per Bagni di Lucca. Carlino Mariani, divenuto allora Vice
Sindaco, gli dette un lavoro come portiere al Comune.
Non
mi ricordo il giorno esatto in cui fu liberata Bagni di Lucca,
quello che
mi ricordo è che alla fine settembre del 1944, dai monti, coi
binocoli, si videro
lunghe file di camions e blindati tedeschi ritirarsi lungo la Lima
verso l'Abetone. Altre colonne,
come appresi poi, erano risalite verso l'Appennino ed
avevano raggiunto la Foce a Giovo, ed altre la Garfagnana. Il
motivo di questa ritirata
fu che gli alleati avevano sfondato il Passo della Futa e che
i tedeschi non avevano potuto completare le strade di arroccamento
sul massiccio delle
Pizzorne. Insieme ai tedeschi, in Garfagnana, si ritirarono anche
le Brigate nere. In seguito furono raggiunti anche dalla Monterosa,
così che dettero vita ad
una nova linea difensiva che si appoggiava alle difese
naturali del territorio. Gli alleati non utilizzarono le loro
forze per inseguire i
tedeschi nel momento della loro ritirata perché dovettero
trasferire diverse loro
unità in Normandia da loro considerata strategicamente più importante.
Tale
linea difensiva rimase operante in Garfagnaua dall'ottobre del
1944 al mese
di Aprile del 1945, cioè alla vigilia della fine della guerra in
Italia.
Il
fronte alleato si spingeva su di una linea che da un lato non
andava oltre
Ponte all'Ania; vi aveva la sua casa il mio nonno materno, con due
zie e
figli. Ponte all'Ania pullulava di spie fasciste a contatto con i
repubblichini che sul fronte
garfagnino, sostenevano i tedeschi. Gran parte delle unità
americane impegnate sul fronte erano rappresentate dai soldati
neri della Divisione
"Buffalo". A distanza l'uno dall'altro, vi erano poi i
Patrioti di "Pippo" che dopo l'8 ottobre 1944,
aveva costituito il Battaglione Autonomo Patrioti Italiani. La
possibilità di continuare la lotta, uniti come nel periodo clandestino,
l'aveva offerta il comandante "Pippo" che aveva evitato
la propaganda politica
all'interno della Formazione, finché essa fosse stata impegnata,
preferendo che, prima di dover discutere di politica ed
evidenziare le differenze, i suoi uomini combattessero in
pieno accordo per anticipare la liberazione d'Italia dei nazi fascisti. Le spie fasciste delle quali so
l'effettiva esistenza a Ponte all'Ania, operavano in
contatto informativo con i tedeschi, con le Brigate Nere e con la
Monterosa. Essi dettero ad intendere ai militari neri,
per demoralizzarli, che non sarebbero tornati vivi in America
perché, alla fine della guerra, le navi che avrebbero
dovuto riportarli sarebbero state affondate
nell'Atlantico. Non solo, ma, la settimana prima del Natale 1944,
offrirono a quei poveri soldati una grande quantità di grappa, li
indussero a fare una grande festa per celebrare il Natale, e,
quando di verificò l'attacco tedesco del Natale, erano
tutti mezzi ubriachi e, pur avendo numerosi caduti ed
un ufficiale che poi è stato decorato per aver ordinato alle
artiglierie alleate di
sparare sulle posizioni di Sommocolonia dove egli guidava la
resistenza, non si batterono in maniera adeguata alle necessità e si ritirarono.
Nelle loro posizioni, a
costo della vita di molti di loro, rimasero invece i Patrioti di
"Pippo" che arretrarono a Barga dando il dovuto allarme.
La situazione era pericolosa perché gli alleati avrebbero
potuto addirittura ritirarsi sulla linea dell'Arno
se non fosse intervenuto un forte reparto di soldati Indiani i
quali bloccarono
completamente l'attacco nazi fascista. Diversi anni dopo, nel 1952,
in Argentina, incontrai un veneto; si chiamava Secondo e, per
motivi di lavoro, diventammo amici e non si parlò mai di
guerra. Ma un giorno lui, spontaneamente,
mi disse che, sul finire della guerra, per necessità economiche e
non ideali, si era arruolato nella Divisione fascista "Monterosa".
Fu mandato in
Garfagnana e partecipò ad una sanguinosa battaglia dove perse
vari amici vicino ad un
paese chiamato Gallicano. Io rimasi di sasso ma, poi, ricordando quanto,
a suo tempo, Manrico Ducceschi "Pippo" aveva detto,
rimettendo in libertà un gruppo di soldati della Repubblica di
Salò, che lui defini "I fratelli che
hanno sbagliato", gli detti la mia mano, in segno di quella
pace alla quale, anche
nella mia famiglia, sono stato sempre educato. Quindi, se
nell'ultimo conflitto, in Italia c'è stata anche una
guerra civile, lo dobbiamo al Generale Graziani, che, coerente con
i suoi precedenti in Africa Orientale ed in Libia, costrinse,
insieme a Mussolini, con i suoi richiami obbligatori, molti
giovani a combattere contro quelli che, avendo compreso il
significato della Libertà, rischiarono
la vita e morirono in gran numero, in Italia, nelle file delle Formazioni
partigiane e in quelle dell'Esercito di Liberazione proveniente dal
Sud, e in Germania nei lager nazisti, nella speranza di un'Italia
migliore per tutti.
Al
termine della guerra ricevetti il Certificato di Patriota,
rilasciatomi a Lucca nel '45 firmato da "Pippo",
dall'Ufficiale alleato comandante a Lucca e
dal Generale Alexander. L'originale di questo documento mi ha
salvato la
vita in Irlanda. Nel 1957 mi trovai per la prima volta
nell'Irlanda del Nord.
Ero completamente ignaro della guerriglia che esisteva tra i
patrioti irlandesi e inglesi.
Camminando un giorno da solo sulle colline, fui fermato da una
pattuglia di soldati inglesi e sospettato di essere uno dell'I.R.A.
(Irish Republican Army). Io
dissi subito loro di no e al tempo stesso gli misi sotto il
naso il Diploma Alexander che portavo con me per tutelarmi. Il
sergente lo guardò
attentamente ma non ci capì nulla; ma quando vide in fondo "H.R.Alexander",
mi saluto militarmente e mi lasciò andare!! Seppi poi che aveva
combattuto anche lui in Italia con l'VIII Armata britannica.
Tratto dal libro di C.
Gabrielli Rosi "Ricordi di guerra e di pace"
Tutti
i diritti riservati
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