La
liberazione di Bagni di Lucca e la conseguente liberazione della
media Valle del Serchio fino alla confluenza del torrente Lima, (valle
inclusa fino a Ponte alla Lima), indusse, ovviamente, Pippo e,
meglio ancora, l’XI Zona Patriotti a convogliarsi
tutti a Bagni alla Villa. Purtuttavia, la vera liberazione, in
senso compiuto, avvenne di li a una settimana circa, giorno più
giorno meno. Quando si parla di Bagni di Lucca bisogna tener conto
della conformazione geografica di questa cittadina lucchese, perché,
praticamente, si compone di due agglomerati urbani, distanti tra
loro circa due chilometri, e cioè: Bagni alla Villa e Bagni Ponte
a Serraglio. Queste due cittadine sono ubicate sulla sponda destra
del torrente Lima che confluisce a poca distanza nel fiume Serchio.
Quindi, allorché noi avemmo liberato Bagni alla Villa, più a
nord, rimaneva ancora da “bonificare” il circondario, dalle
residue presenze di tedeschi e fascisti, che ancora vi si
annidavano, a sud. Possiamo dire, subito, che oltre il ponte sulla
Lima di ingresso a nord di Bagni alla Villa, e cioè su per la
rotabile dell’Abetone-Brennero, tutti i caseggiati erano stati
raggiunti, perché il grosso della formazione, qui dislocato, non
appena ebbe la notizia che il Comando era insediato in città, si
riversò sulla rotabile per scendere a ricongiungersi; e via via
che venivano raggiunte le borgate, la gente dava notizie di
eventuali presenze nemiche e subito veniva provveduto.’ Però la
parte a valle, quella cioè verso Ponte a Serraglio, richiese
impegno costante. In varie località, come ad esempio, su per la
strada che conduce dal fondo valle fino a Monti di Villa, fu
necessario intervenire in più riprese. Furono fatti prigionieri e
ci furono morti repubblichini e tedeschi. Ci trovammo in
situazioni drammatiche, come la fucilazione di soldati tedeschi a
Montefegatesi, inutile e moralmente dannosa. Purtroppo prevalse
l’emotività irrazionale, come, altrettanto irrazionale fu la
nomina di Pippo a Sindaco di Bagni di Lucca. Furono inoltre fatte
requisizioni inutili, pregiudizievoli, in nome di una giustizia
sociale guidata dall’emozione del momento ancor prima che dal
buonsenso.
Non
si può però dimenticare che furono momenti particolari, a dir
poco eccezionali.
Il
Comando fu insediato nella villetta delle poste, cioè dove ancora
oggi si trova l’Ufficio Postale; mentre la Formazione, in gran
parte, fu sistemata nell’albergo Del Sonno. La
mensa, ‘preparata dal Sig. Del Sonno, entro i suoi locali, che
precedentemente erano adibiti a Bar e Ristorante, funsionò fino
dal primo giorno. E’
logico che nelle ore in cui la mensa viniva aperta ci ritrovassimo,
chi prima chi dopo, un pò tùtti, anche i partigiani del luogo
come Carlino Mariani, che si erano ricongiunti in ritardo, si
fecero vivi. Successivamente rientrò
Tiziano da Pian di Coreglia, e pure Silvio con i suoi uomini. La
situazione andava, via via, complicandosi, perché essendo Pippo
Sindaco, mancava il necessario coordinamento e mancava in modo
particolare chi si occupava
del
rilascio dei congedi a coloro i quali non
intendevano rimanere ancora a lungo lontani dalle proprie famiglie.
C’era inoltre la questione dei Russi che volevano essere
rimpatriati, cosa ancora più complessa e difficile. Ci
trovavamo in terra liberata, ma pur sempre in “terra di nessuno”
o come si diceva allora in “terra nostra”, e questo non aveva
nulla di legale e di ufficiale. Se non arrivavano gli Alleati, i
russi non potevano essere rimpatriati e neppure quei nostri
compagni le cui famiglie si trovavano in terra libera, dai
tedeschi e dai fascisti, perché erano necessari i visti alleati
perché i loro congedi possedessero il crisma della ufficialità.
Ma l’ansia di tanti compagni era pressante e altamente
comprensibile, per cui si rese necessario un incontro con Pippo
per definire questa serie di questioni. Pippo
era esaurito dal lavoro ingrato che si era trovato ad affrontare
in qualità di Sindaco. Tutte le più incredibili sciocchezze
dovevano essere sottoposte al suo vaglio e aveva da giudicare
vertenze civili come “il fare giustizia per la capra entrata
nell’orto
del
vicino a far danni”, quando cose urgentissime,
che stavano per travolgerci, dovevano essere prevedute e
affrontate prima che ci recassero danno. Non ultimo problema, anzi
quello più bruciante e impellente, era la continuazione della
“lotta” giacché era ormai chiaro che il fronte si era
nuovamente fermato. Molti
erano gli uomini, me compreso, decisi a tornare in “terra di
nessuno” e questo bisognava deciderlo prima che arrivasse
l’AMG (ALLIED MILITARY GOVERNMENT) in modo da non offrigli la
possibilità di disarmarci. Cosicché la
riunione nella villetta delle Poste, dove era stato sistemato il
Comando, fu finalmente fatta. Eravamo presenti: Pippo, Gianni,
Paolino e Cecco con il telegrafista
del
loro gruppo, Ughino furiere, Enzo La Loggia
fratello di Gianni, Gino Venturi ed io. K1
e K2 erano già partiti per Lucca alla ricerca del Comando O.S.S.
Per quel che mi ricordo, Tiziano non c’era perché ancora non
era rientrato.
La
prima cosa che fu chiesta a Pippo fu “abbandonare” subito il
comune e nominare un nuovo sindaco al suo posto. Credo che in
quella occasione fosse stato fatto il nome di Carlino Mariani, e
successivamente infatti fu nominato. Seguivano la questione dei «congedi»,
il problema dei Russi e la necessità di riordinare tutti i
documenti in nostro possesso, compresi quelli dei Giapponesi.
Inoltre c’era la situazione riguardante la volontà dei compagni
intenzionati a rimanere armati. “Paolino”
alias Giorgio Braccialarghe presa la parola, spiegò che, ovunque
gli Alleati arrivavano e insediavano I’A.M.G., per prima cosa
disarmavano e congedavano i partigiani. Questo
era regola inderogabile, alla quale non saremmo sfuggiti neanche
noi. Era inutile illudere i ragazzi, qui era la fine
del
periodo di lotta partigiana. Noi non
sopportavamo quest’idea e perciò, in accordo con Pippo,
insistevamo nei nostri propositi, pur rendendoci conto che fino al
quel momento era accaduto così e non potevamo sperare di avere un
diverso trattamento. Gianni
iniziò il suo intervento, in appoggio a Paolino, invitando Pippo
a riflettere e a considerare anche, che lui Gianni, aveva portato
il suo contributo senza nulla chiedere mai; non voleva
approfittare della sua “privilegiata” posizione, ma,
ricordando quanto il suo lavoro era stato determinante per il
prestigio della formazione, si sentiva in condizioni di avanzare
delle richieste. Per prima cosa si
dovevano redigere le relazioni militari, per esteso, con calma e
in questo era disponibile a collaborare perché niente fosse
trascurato. Dato che
era umanamunte impossibile sottrarsi alle regole degli Alleati,
bisognava mettersi l’animo in pace e prodigarsi a una chiusura
della “lotta” con la stesura di un documento capace di porre
in evidenza il valore morale e militare di tutti i membri della
Formazione. Ma non era sufficiente
ottemperare a questo importante impegno, sarebbe stato anche
necessario scegliere a chi affidare la presentazione di questa
lotta trascritta nel documento perché avesse il suo giusto e
doveroso riconoscimento ufficiale, in primo luogo per la memoria
dei morti, ma anche per una gratificazione per i compagni più
fortunati-. Quanto esposto fin qui aveva trovato l’approvazione
di tutti, Pippo compreso. Ma
Gianni non aveva ancora finito e proseguì.- Se mi è consentito
darti un suggerimento e un invito, considerando anche che non ho
mai interferito nelle tue decisioni, mi farebbe un immenso piacere
se le relazioni militari fossero consegnate a un “antifascista
di fama mondiale”, Comandante delle Brigate Internazionali nella
guerra di Spagna e figura di uomo integerrimo or ora rientrato in
Italia dagli Stati Uniti, cioè al repubblicano RANDOLFO PACCIARDI.-
Questa uscita di Gianni colse tutti di sorpresa, meno si intende
Paolino, Cecco e il loro radiotelegrafista, tutti pacciardiani.
Pippo,
sorpreso e sgomento, chiese a La Loggia se seriamente pensava che
si potesse mettere nelle mani di uno “sconosciuto” la sorte
della formazione e non riusciva a comprendere come gli fosse
venuta in mente una simile proposta. Per tentare di fargli capire
quanto fosse paradossale ciò che chiedeva, si lasciò scappare
una frase, che definirei poco felice. Pippo
esordì: -Sarebbe più giustificato affidare i nostri carteggi a
Tullio Benedetti, che è pur sempre il capo missione e che quando
c’è stato bisogno ha dato il suo valido contributo.- Non aveva
finito di pronunciare queste parole, che Gianni, montato su tutte
le furie, accusando di essere stato mancato di rispetto e di
riconoscenza, piantò tutti in asso e se ne andò, uscendo
definitivamente di scena. Sparirono
anche Paolino e Cecco, ecc. Noi che restammo, Enzo compreso,
eravamo rimasti esterrefatti e increduli. Fu
un grande dispiacere la perdita di Gianni, per Enzo, Gino e me in
particolare. Ma ormai la rottura era irreparabile.
Pippo
cedette l’incarico di Sindaco e si mise in contatto, non so se
tramite Benedetti, con l’OSS di Lucca. Raccolse tutti i
documenti in suo possesso e cercò di rendere concrete le buone
intenzioni più volte dichiarate: cioè restare in armi anche a
costo di ritornare “nella terra di nessuno”. “BUONE
INTENZlONI” che fino a quel momento erano uguali a quelle di cui
si dice sia lastricato l’inferno. Sperava con quanto disponeva,
(compresi i documenti catturati al Contrammiraglio Giapponese) di
trovare appoggi che gli permettessero la realizzazione dei nostri
desideri.
Ma
i giorni passavano e salvo i congedi, che gli incaricati
consegnavano a chi li chiedeva, poc’altro, succedeva. Il
Comandante era praticamente rimasto solo. Il suo più stretto
collaboratore era Ughino Bardi di Bagni di Lucca, il furiere, il
quale si era accollata la responsabilità della sistemazione di
coloro che volevano tornare a casa. Bagni di Lucca la Villa era
divenuto il centro di raccolta di tutti i reparti dell’XI ZONA.
Anche
il Comando SUD della Val di Nievole, così come
i distaccamenti dislocati nella Val di Serchio erano rientrati,
Tiziano compreso. Quest’ultimo era
arrivato uno o due giorni dopo la partenza di Gianni e, in un
certo senso, si trovò a far fronte al vuoto di comando lasciato
da Pippo e da Gianni perché ognuno di noi si limitava ad
assolvere i compiti assegnatici dal comandante e non c’era
alcuno in grado di coordinare l’attività nel suo complesso. Così
Tiziano si trovò al centro di questa situazione e, quando il
Maggiore Perejra del 40°
Corpo dì Spedizione Brasiliano venne a chiedere la nostra
collaborazione, dovette da solo decidere se cogliere o no questa
occasione. Meno male che non se la lasciò sfuggire e anche Pippo,
che ne fu successivamente informato, la condivise.
All’iniziò
Gino ed io andammo in pattugliamento notturno in appoggio ai
brasiliani, altri come guide a pattuglie in ricognizione, finché
il Comando Brasiliano non ci incaricò di andare alla ricerca di
alcuni loro avamposti dei quali non avevano notizie da vari giorni.
Certamente Pippo era a conoscenza della situazione generale, ma,
assillato dal lavoro che gli veniva richiesto dall’OSS, era nell’
impossibilità di occuparsi di ciò che avveniva a Bagni. Quindi
Tiziano dovette ancora decidere, su due piedi, se accettare o no,
anche questo nuovo invito. Adunò tutti
noi rimasti, spiegò la situazione e trovandoci d’accordo, di lì
a poche ore partimmo. Furono
composti tre plotoni: il PRIMO composto dai veterani di Pippo
comandati da Antonio Lo Slavo e Remone (Remo Danti), il SECONDO
composto dai rimanenti veterani più quelli del Comando Sud
comandati dai fratelli Turini (Leone e Pollo) e il TERZO plotone,
composto dai più disparati gruppi, era comandato da me e da
Malombra (Guglielmo Toccafondi).
Ci
ritrovammo come ai tempi della Scaffa in un centinaio di uomini in
tutto, cinque più cinque meno salvo le unità addette ai servizi
(Gasperini, Serafini, Ughino, Gino, ecc.).
La
meta da raggiungere era Pian di Coreglia. Il primo distaccamento
Brasiliano che non rispondeva era in questa località, mentre
l’altro era quello in Coreglia Anterminelli, su sul colle.
A
Pian di Coreglia, l’avamposto brasiliano stentò alquanto ad
aprirci e quando alla fine riuscimmo a comunicare ci dissero che
erano già in procinto di rientrare alla base di partenza, sia
perché non avevano più viveri, sia perché avevano perso ogni
contatto con il Comando. Avevano un tremendo terrore di essere
assaliti dai tedeschi, per cui si erano rinchiusi sperando che il
loro comando li andasse a rilevare. Ci volle
del
bello
e
del
buono per persuaderli a restare. Fu convenuto
che al nostro ritorno da Coreglia, dopo aver preso contatto con il
gruppo brasiliano là dislocato, e che temevamo di non ritrovare,
saremmo ripassati ad informarli e in tal caso sarebbe stata presa
una decisione concordata. Fortunatamente
all’avamposto di Coreglia non era successo niente di grave, e
anzi fu abbastanza facile reperirlo, infatti incontrammo gli
uomini sulla strada sotto il paese, nel tratto delle curve, con il
mulo carico, decisi a tornare a Ponte a Moriano. Si
era ormai nel pomeriggio inoltrato e un pò per il tempo impiegato
ad intenderci, un pò perché si era vicini a sera si riuscì a
farli tornare al loro alloggio in Coreglia. Anch’essi non
avevano viveri come i loro commilitoni di Pian di Coreglia e noi
pure era dalla mattina che non mangiavamo. Fortuna
volle che un paio di barattoli di verdure liofilizzate saltarono
fuori dalla soma del mulo e quindi stimolò tutti alla ricerca di
pane, anche duro per poter rimediare una qualche sbobba.
A
Coreglia avemmo l’occasione di rincontrare la “Bozzi” scesa
dalle falde del Monte Rondinaio, la quale si era attestata in
paese. Anche se un pò restii, ci
aiutarono a trovare da dormire e la mattina seguente li salutammo
e ripartimmo con i brasiliani.
Raggiungemmo
Pian di Coreglia poco prima di mezzogiorno e dopo aver consigliato
i brasiliani lì attestati a non abbandonare quella loro posizione,
insistemmo perché spedissero una o due staffette al loro comando
per riprendere i collegamenti. Li salutammo e Tiziano scrisse un
biglietto al Maggiore Perejra che noi ci saremmo spostati su Barga
per liberarla.
Quando
giungemmo a Fornaci di Barga ci venne incontro il Dott. Boni che
era del luogo, e che successivamente sarebbe poi divenuto il
responsabile per il buon funzionamento del nostro servizio
sanitario; da lui avemmo interessanti informazioni che ci
abbisognavano e che più ci interessavano, riguardo alla presenza
di tedeschi in città, e così stabilimmo un piano minimo da
attuare. Ci saremmo spostati fino all’altezza dell’Ospedale di
Barga e, se non si fosse incontrata resistenza, ci saremmo fermati
per la notte a dormire nelle ville adiacenti. Così infatti
avvenne, anche se in realtà ci furono messi a disposizione
alloggi, subito al di fuori delle mura urbane.
Non
ricordo esattamente se nella tarda serata ci raggiunse una
staffetta brasiliana che ci comunicò di attendere i loro reparti
per entrare in città, tutti insieme, la mattina seguente. Infatti
la mattina presto il comando brasiliano arrivò e concordò con
Tiziano l’occupazione della città. Giunti che fummo sotto le
mura ci fermamrno perché fu rivolto un invito ai Comandanti di
accomodarsi nel palazzo adiacente la Porta della città, che era
di proprietà dei Sig.ri Martini, se ben ricordo. Fu la Signora
che ci informò che i tedeschi si erano ritirati nella parte della
città Nuova, al dilà del fossato. A questo punto fummo noi ad
entrare in Barga e quando tutto sembrò tranquillo, anche nel
settore delle scuole, cioè in Barga Nuova (oltre il fossato),
entrarono anche i brasiliani. Erano quasi in parata, tutti allo
scoperto senza la minima prudenza, sorridenti e lieti
dell’evento, convinti che non ci fosse più alcun pericolo,
malgrado noi ci sforzassimo a richiamarli inutilmente alla
prudenza. Di li a poco, in maniera improvvisa ma non inaspettata,
iniziò un cannoneggiamento infernale. Morirono dei civili e
qualche brasiliano e ci furono feriti sulle prime cannonate.
Resisi conto di quanto accadeva cominciammo ad infilare nelle case
lì appresso, tutta la truppa, disorientata e smarrita che stava
intorno a noi. Fortunatamente, noi partigiani, per miracolo, o
forse per reazione allo sgomento dei brasiliani, non perdemmo la
testa e ciò servì ad evitare un vero massacro.
Il
giorno seguente furono effettuate perlustrazioni abbinate, con i
soldati brasiliani e salvo casi sporadici non avvennero scontri di
rilievo neppure per quelle pattuglie spintesi fin sotto i colli, e
così Barga fu liberata. Fin dal primo giorno alloggiammo
all’albergo Alpino, “noi del Terzo Plotone” e disponemmo un
servizio di guardia partigiani-brasiliani anche per la notte. Gli
altri plotoni di Remo e di Leone erano un pò indietro verso il
“Fossato” Dormimmo poco e male. Già all’ora di cena, mentre
eravamo a tavola a mangiare il cannoneggiamento aveva ripreso. Si
ripeté per molte altre sere. Quel giorno stesso, mentre eravamo
in sala da pranzo dell’Albergo Alpino, ci raggiunse Pippo,
sorpreso da questa nostra uscita. Si congratulò e ci disse che
l’OSS di Lucca e anche il Comando Generale con base a Siena era
stato informato e che ci sarebbero venuti a trovare.
Grazie
a Tiziano, considerato “di fatto” il Vice Comandante, la
possibilità di continuare la guerriglia s’era fatta da questo
momento più vicina, forse realizzabile, e tutti noi
l’avvertivamo. Ora a Pippo toccava il compito di perfezionare
l’operazione. Da quel momento magico le cose cominciarono a
scorrere con una certa sicurezza e una certa facilità. Arrivò
per primo il Maggiore Rossetti dell’OSS, un italo-americano che
parlava assai bene la nostra lingua e con lui arrivarono le prime
armi e i primi rifornimenti di viveri e vestiario. Ormai ci si
convinse sempre più che non saremmo tornati indietro. Occupammo
Sommocolonia e si arrivò di sorpresa fino a Lama di Sopra dopo
aver superato Lama di Sotto e dopo l’occupazione lasciammo le
due località in mano ai brasiliani. Purtroppo questi non si
sentirono sicuri e le abbandonarono entrambe.
Noi
del terzo plotone andammo ad occupare Renaio, ma dopo pochissimi
giorni venimmo rimpiazzati dai nostri compagni di altri plotoni e
da soldati della Buffalo, e fummo dislocati a Gallicano oltre il
Serchio, sull’altra sponda, più avanti nella Valle. Intanto il
Comando Brasiliano si era spostato a Fornaci di Barga. Tiziano
venne nominato sindaco di Barga dal CLN locale.
Vennero arrestati i fascisti più in vista, sia donne che
uomini e cominciarono ad arrivare profughi d’oltre Appennino.
Tiziano si ammalò e venne ricoverato in un ospedale da campo
americano da dove, in pochi giorni, tornò guarito. Al rientro di
Pippo, il Comando della formazione fu installato in Barga Bassa in
una villa davanti le scuole sulla via che va al Ponte sul Serchio.
Cominciò, anche, il periodo di spionaggio a favore dei tedeschi e
fu l’inizio di una serie di attentati. A Gallicano ci attendeva
un reparto di partigiani di Mario De Maria. Questo reparto era
comandato da un certo Mario (Salvatori) impresario edile. Fummo
alloggiati in un palazzo molto grande di fronte alla piazza al
Monumento ai Caduti della guerra ’15-18’ e poiché, anche qui,
ogni notte il paese era bersaglio di bombardamenti di mortaio, ci
sistemammo nelle cantine. Restammo in questo luogo per vari giorni.
Alfredo
Andreini e Gianfranco De Michele, rispettivamente infermiere e
studente di medicina, accolsero nello scantinato anche tutti i
cittadini fuggiti dai casolari dei dintorni, malati e feriti,
porgendo loro cure nell’infermeria provvisoria. Si
effettuarono pattugliamenti in direzione di Molazzana, nei quali
si ebbero scontri a fuoco. La
prima volta che una nostra pattuglia fece un giro di
perlustrazione, proprio alle prime case sulla strada che porta
alla chiesa, si scontrò con un avamposto tedesco che, dopo aver
sparato una prima raffica, fortunatamente andata a vuoto, riuscì
a sfuggire all’accerchiamento che avevamo tentato. I tiri dei
mortai che martirizzavano Gallicano
continuarono tanto che la loro insistenza ci impose di
andare a verificarne la provenienza. E fatte le debite
considerazioni, due giorni dopo la prima ricognizione, decisi di
tentare la liberazione di Molazzana. Arrivati in paese, senza
incontrare resistenza, feci disporre le postazioni dei Bren e
detti ordine agli altri “ragazzi”, armati di fucili
semiautomatici, di coprirci mentre con altri due compagni, il
Siciliano, e, forse, Ulisse Lena mi avviai su per il castagneto
che sovrasta l’abitato. Giunti in cima ci mettemmo a osservare
attentamente il luogo, al cui centro erano campi coltivati e sulla
nostra parte una casa colonica in disuso.
Il Siciliano entrò nei campi, recintati da una siepe di
pruni, da dietro la casa; e nello stesso momento mi accorsi che,
una fila di elmetti tedeschi si stagliava oltre e a filo
dell’altezza della siepe aldilà del campo coltivato che lo
recintava. I tedeschi erano seduti al bordo del castagneto
adiacente, ma posti più indietro. Cercai di richiamare
l’attenzione del Siciliano, il quale intento a guardare altrove,
non si era reso conto del pericolo.
Vedendo muoversi alcuni dei tedeschi, mi accingevo a sparare
con il Bren che s’ inceppò. Fortunatamente il mio compagno sentì
qualche rumore, si girò, mi vide allarmato e in posizione di
sparo cosicchè capì immediatamente la situazione e, al mio cenno,
ci segui. Tutti insieme: Sicilano, Ulisse ed io ci buttammo giù
per il castagneto dal quale eravamo saliti e, appena fummo fuori
pericolo, quasi all’asfalto della strada, i nostri compagni,
avvistati i tedeschi, cominciarono a sparare riuscendo a coprirci.
Al nutrito fuoco di tutte le armi, comprese quelle automatiche, i
tedeschi si ritirarono e si ripiombò nel silenzio. Trascorsi una
ventina di minuti tornammo sul poggio; non c’era più nessuno.
Nel
breve giro di mezz’ora circa, cominciò un fitto tiro di mortai.
Non avemmo nè morti nè feriti e restammo a Molazzana ancora in
attesa delle notizie dei brasiliani, presso i quali avevo mandato
una staffetta ad informarli della situazione. Alla fine giunsero e
noi lasciammo loro il paese, come ci fu richiesto.
Di
lì a pochi giorni, il comando ci richiamò per lasciare il posto
ai locali partigiani e fummo mandati al “molin del Gasperetti”,
sul torrente Corsonna, a piè del poggio di Sommocolonia. Il
periodo di tensione dovuto allo spionaggio e agli attentati
continuava ancora. E per questa ragione, Pippo si avvalse per un
breve periodo dell’aiuto di Rolando Anzilotti, il quale giunse a
Barga nei giorni del nostro rientro e con noi svolse servizio di
pattugliamento per sorvegliare, anche di notte, i movimenti di
persone sospette che, troppo spesso, si aggiravano tra il torrente
Corsonna e Barga Bassa. Fu un periodo di particolare transito di
profughi che accompagnati da guide esperte, traversavano le linee
nemiche. Erano in prevalenza bambini, donne e anziani di ambo i
sessi. In quei giorni arrivarono anche gli uomini di Marcello
comandati da un bolognese che chiamavano «BilI» con loro c’era
anche un commissario politico. Tiziano, rientrato in attività,
tentò, con il grosso della formazione, di riconquistare Lama di
Sopra. I tedeschi erano però preparati, e forse anche informati e
non si fecero prendere di sorpresa; l’attacco falli.
Qualcuno
sollevò critiche per il fallimento dell’impresa, neppure del
tutto giustificate; in qualche modo avvallavano però i sospetti
dello spionaggio a cui eravamo soggetti. Al Terzo Plotone al Mulin
del Gasperetti, vengono a darsi prigionieri alcuni soldati della
Wehrmacht. Si qualificarono austriaci e ci raccontarono di aver
partecipato alla battaglia di Lama di Sopra; erano stanchi di
combattere. Dal comando vennero a prelevarli e, dopo gli
interrogatori da parte dell’OSS, vennero spediti ai campi di
raccolta. Intanto a Fornaci di Barga, la Brigata BOZZI, chè
rifiutò di aggregarsi a noi, venne smobilitata e ci furono
offerte le loro armi, di cui prendemmo solo quelle più moderne e
efficienti.
Qualche
giorno dopo ci venne ordinato di prendere contatto a Sommocolonia,
che era presidiata da un reparto di soldati della Divisione
Buffalo e dai ragazzi di Marcello comandati da BilI. L’ordine
partiva da Tiziano. Al
comando americano, dove ero stato invitato a cercarlo, mi fu
riferito che in quel momento era a colloquio con gli ufficiali
comandanti. Ci fecero sedere ad un
tavolo intorno al quale stavano giocando a carte quattro dei
presenti; altri seguivano lo svolgersi della partita. Era buio
quasi totale, tanto che c’era da chiedersi come facessero a
distinguere i valori delle carte. Su
richiesta di uno dei giocatori al quale mi trovavo accanto seduto,
gli porsi il mio Sten, perchè era curioso di conoscerlo, ma prima
di passargli la mano tolsi il caricatore e sicuro di quanto stavo
facendo, lasciai andare la massa battente dell’otturatore per
consegnarglielo completamente scarico. Non
so come fosse potuto accadere, una cartuccia era entrata in canna
e esplose. Fortuna
volle, che, come era regola fare, il mitra era con la canna
puntata a terra e il colpo partito inaspettatamente ferì un altro
soldato al di la del tavolo a un piede, in modo abbastanza lieve.
A questo punto ebbe fine anche il colloquio perché Tiziano si
precipitò a vedere cosa fosse successo. Nella confusione iniziale
non riuscì a capire niente, infine chiarita la situazione tutto
tornò alla calma. lo comunque restai un pò scioccato e rientrato
al Mulino insieme agli altri venuti con me, raccontammo
l’accaduto cercando di capirne la ragione e di ritrovare la
serenità. Di lì a poco venni a sapere che era stato comandato
come responsabile militare a Sommocolonia il Ten. Sommati; ne fui
molto sorpreso perchè, fino a quel momento, non lo avevo mai
visto nè conosciuto, nè mai sentito nominare. Rimanemmo lì
attestati fino a pochi giorni prima della battaglia di Natale.
In
questo tempo rimane ferito “Stalin” un ragazzo emiliano che
era con me fino da Bagni di Lucca e già nostro compagno d’armi
nel periodo clandestino. Poi una metà del plotone, me compreso,
fu mandato in riposo a Filecchio, ed è di quei giorni la partenza
di “Stalin” per l’ospedale. Si era circa al 20 del mese dì
dicembre. La notte (della vigilia ?) di Natale fummo riportati a
Barga con camionette dell’OSS perché era iniziata la battaglia
su a Sommocolonia dove erano stati dislocati da Pippo i nostri
rimasti al Mulino del Gasperetti. In questa battaglia purtroppo
morì Fontana. Era uno dei miei. A Barga, nella sede del comando,
ritrovai Ugo De Poletti rientrato dopo una lunga degenza in
Clinica Psichiatrica. Al Comando mancavano notizie certe su come
si stessero svolgendo le cose a Sommocolonia, ormai sotto il tiro
dell’artiglieria americana. Ricordo che incontrai Cefas e che
salii al piano di sopra da dove si vedevano i tiri di partenza
delle cannonate e i proiettili traccianti che colpivano il paese.
Non so chi mi dette gli ordini di partenza, forse fu Pippo. La
tensione era alta. Ci rifornimmo al magazzino di munizioni e di
viveri e fummo divisi in due o tre gruppi. Il mio gruppo era
composto da sette o otto uomini di cui sicuramente ricordo Ulisse
Lena e il Siciliano, gli altri probabilmente erano Pontiroli,
Pedrazzi, Pistolino, Checco e Cacino, ma non ne sono certo. Fummo
incaricati dì andare a coprire la zona dell’altipiano di Barga
verso il ponte sul Serchio, a metà strada tra queste due località.
Non ricordo con precisione, ma mi pare che la zona fosse
conosciuta come quella della “Campo Sampiero”. Era giunto il
giorno e, appostati in una redola di campagna, un po’ infossata,
ci eravamo allargati e distesi a semicerchio. C’era modo di
appoggiare le armi sul ciglio del campo, e mi trovavo armato di
una carabina automatica Willians di cui ero entusiasta. Guardando
in direzione della zona pianeggiante a ridosso della collina su
cui era ubicata Sommocolonia, non riuscivamo a vedere nessun
movimento, ma eravamo bersagliati di colpi di fucileria. Lì nella
redola, acquattati si sentivano fischiare i proiettili al di sopra
delle nostre teste e, per quanto coperti e riparati dal ciglio del
campo, ce ne stavamo senza dire una parola, concentrati al massimo
a cogliere ogni minimo movimento.
Finii
per parlare, tanto per rompere il silenzio opprimente e rivoltomi
a Ulisse gli dissi:- Vedi, Barba caprina, se mi riuscisse veder
qualche tedesco che mi entrasse nel mirino sarebbe un uomo morto-.
Non avevo finito di pronunciare l’ultima sillaba che Ulisse,
forse per istinto o forse perché gli era sembrato che mi fossi
esposto troppo, mi tirò giù, di scatto la testa a pari del
ciglio.
In
quel medesimo attimo, il filo spinato che mi stava sopra al capo
10-15 cm, si spezzò di netto per l’urto di un proiettile; e
sebbene tutto ciò fosse tutt’altro che comico, fui oggetto di
scherzi che allentarono un poco la tensione. Per liberarmi alla
meglio e peggio da questa situazione, inviai, al comando Pistolino,
che era esperto del terreno, per avere notizie e ordini. Non molto
dopo ritornò dicendo che il comando era stato spostato sul colle
della Cattedrale per cui non era stato in grado di raggiungerlo.
Rimanemmo lì un tempo imprecisato, inchiodati, ma, sulla sera,
prima che sopra giungesse l’oscurità, convenimmo di ritirarci
in qualche cascinale, sia per vedere se ci sarebbe stato possibile
riprendere contatti con il nostro comando, sia per uscire dal
freddo che ormai ci aveva presi tutti. Così infatti si fece. Di
cascinali ne trovammo uno un po’ a Sud rispetto alla posizione
sopra detta. Aveva davanti una fila di castagni robusti ed alti
sui quali ci vedemmo, “nell’immaginazione”, di lì a poco
impiccati. Ulisse Lena specialmente si divertiva a scherzare su
questi castagni dicendo che sarebbe stato opportuno chiedere agli
abitanti della casa se avessero buone corde e un pò di sapone per
essere sicuri che i nodi scorsoi funzionassero a dovere e
velocemente. A sera inoltrata mandammo proprio lui, Ulisse a
vedere come stavano le cose. Al suo ritorno, ci informò che sulla
strada asfaltata c’erano delle autoblinde inglesi e che, verso
Barga, ne aveva viste altre, ma non era riuscito a entrare in
contatto con il nostro comando, spostato su in Barga alta alla
chiesa. Il mattino seguente, cioè il giorno 26, S.Stefano,
Cacino che era di guardia ci svegliò, sul far del giorno, perché
l’autoblinda vista la sera prima, se n’era andata da pochi
minuti ed aveva destato sospetti che qualche cosa stesse
succedendo a nostra insaputa. Ci consultammo velocemente, e di lì
a poco, decidemmo di recarci, “costi quel che costi”, a Barga
Alta a cercare il nostro Comando. Facemmo fagotto e .ci
incamminammo lungo la strada dove avevamo visto, in precedenza, il
mezzo corrazzato e da lì ci dirigemmo verso l’abitato. Mentre
salivamo in direzione della città riconoscemmo a qualche
centinaio di metri da noi, l’Ospedale civile e accellerammo il
passo per raggiungerlo. Quando giungemmo a trenta, quaranta metri
dal lato sud dell’edifico, improvvisamente scorgemmo un donna
con in braccio un bimbo piccolino e per mano una bambina. Correva
verso di noi e quando ci fu vicina ci urlò con quanta voce aveva
in gola, mezza stravolta:- Dove andate sciagurati!?-. Alla nostra
risposta ci disse che i partigiani si erano ritirati la sera prima
e che a Barga non c’era più nessuno nè partigiani nè
americani. C’erano solo tedeschi e repubblichini a occupare la
città, e i tedeschi stavano arrivando a controllare l’ospedale.
-Scappate finché siete in tempo.
Allora
prendemmo la bambina in braccio, l’aiutammo ad allontanarsi il
più velocemente possibile da quel luogo, dopo qualche centinaio
di metri, con il cuore in gola la donna ci disse:- Grazie, mi
basta. Andate, andate via-. Ci salutammo e a troncacollo ci
buttammo a valle. Quel che trovammo abbandonato, strada facendo è
impossibile descriverlo, ma posso assicurare che volendo, c’era
da scegliere le armi che più ci fossero piaciute, nonché
binocoli ed altro materiale. Continuammo a scendere fino in fondo
alla valle, a rotta di collo, oltre Fornaci di Barga nei pressi
del bivio che conduce a Filecchio, senza incontrare un’anima. Ci
incamminammo verso Lucca ripercorrendo, a ritroso, l’itinerario
già fatto circa due mesi prima: Piano di Corteglia, Ponte
all’Ania, Ghivizzano, Calavorno.
Qui
incontrammo un reparto di Indiani al comando di un Ufficiale
inglese, forse un Colonnello. Avevano fatto un posto di blocco. Ci
accompagnarono dall’ufficiale, il quale era in cerca di
informazioni. Ebbi modo
di ragguagliarlo, sulla situazione a Barga anche in base alle
notizie avute da quella signora incontrata presso l’ospedale, in
un inglese fatto più di cenni che di parole. I
fascisti e i tedeschi avevano riconquistato la cittadina, ma non
avevano proseguito l’avanzata. Ci salutammo e così riprendemmo
il cammino alla ricerca dei nostri. Quando
arrivammo alla curva che sovrasta la stazione ferroviaria di Bagni
di Lucca a Chifenti, ci imbattemmo in alcuni dei nostri seduti sul
muretto e subito dopo trovammo tutta la formazione, che si era
sparsa nei dintorni di un cascinale che si trovava in posizione
sopraelevata rispetto alla strada, da cui si proveniva. Non
erano presenti nè Pippo nè Tiziano, ma Toccafondi e tutti gli
altri ci corsero incontro con esclamazioni di sorpresa e di
contentezza perché ci consideravano già morti. Ormai non
speravano più di riabbracciarci; la stessa sorpresa e commozione
manifestarono Tiziano e Pippo ritornati poco dopo. Infine ci
scambiammo notizie veloci, perché ora c’era un problema urgente
da risolvere, rientrare a Bagni alla Villa. Gli
inglesi avevano chiuso il passo con un posto di blocco a Ponte a
Serrarglio e, finchè non fosse arrivato l’OSS a sbloccare la
situazione, bisognava aver pazienza ed aspettare. L’attesa,
anche se ci avvicinammo al blocco, durò fino a tarda ora, tanto
che riuscimmo a arrivare all’Albergo Del Sonno oltre la
mezzanotte.
Fu
occupata anche la villa davanti all’albergo, Villa Bessi dove fu
posto il nostro comando e il magazzino. A
giorno fatto cercammo di ritirare le fila e di istituire turni di
guardia, di riordino e di assetto dei locali per alloggiare, ma
anche turni di sorveglianza e di ronda per evitare scontri con i
militari inglesi e americani ormai di stanza a Bagni di Lucca, sia
alla Villa che a Ponte a Serraglio. Anche il comando avanzato
OSS
avava preso sede in città alla Villa.
Frattanto Pippo e Tiziano erano in cerca di un punto d’appoggio
ove trasferirsi per tornare in terra dì nessuno o in linea,
evitando di correre il rischio, nuovamente riapparso, di essere
disarmati. Eravamo al 28
del
mese e cioè a quattro giorni dalla fine
dell’anno. Giunsero a
Bagni alla Villa, alcuni ufficiali dell’esercito Italiano con
due camions. Il camion più grosso era un Tre-Ro, carico di armi
italiane (fucili 91, Mitra Beretta da paracadutisti,
mitragliatrici e mortai) per la maggior parte in pessimo stato; ce
le misero a disposizione. Remone (Remo
Danti) e Antonio Lo Slavo e Emilio salirono sopra per primi e
fecero, per quel che mi ricordo, una cernita delle armi più
valide, che furono scaricate, I mortai erano purtroppo
inutilizzabili anche se sarebbero stati i più ambiti. Così
furono lasciati sopra con il rimanente
del
carico. L’altro
camion, più piccolo, trasportava sacchi contenenti delle
confezioni tipo pacco
dono NATALIZIO il cui contenuto era formato da un paio di arance,
fichi secchi, noccioline e mandorle,. Ci
furono, purtroppo, esplosioni di collera e di vivo risentimento,
per le armi più ancora che per i pacchi “dono”. Per calmare
gli animi ci venne detto che le armi venivano da
Pistoia
.
Strano
ma vero, nel giro di un giorno o due al massimo, giunsero parecchi
pistoiesi: Vinicio Marasti (Califfo), Lidamo Frosini (La Ranca),
Remo Cappellini, Otello Farnioli, Jonne Tronci, Cesare Vannacci,
Franco Fedi (fratello di Silvano), Mario Eschini e altri che non
ricordo precisamente. Tutto questo nel momento tragico dello
spostamento verso S. Casciano di Controni da Bagni alla Villa dove
rimasero Gino di Livorno e il vecchio Adamo, per controllare il
magazzino e l’ufficio stralcio. Ivo Capocchi arrivò proprio
quando per ultimi, Pippo, il Puccetti, responsabile dei
collegamenti telefonici, ed io eravamo per partire. Arrivati alla
nuova sede del comando, Villa Giannini, lvo fu una gradita
sorpresa per tutti. Era rimasto ferito nel tentativo di passare le
linee del fronte, incaricato di riprendere i contatti, allora
perduti, con l’OSS ed era stato dato per morto; cosicché il suo
rientro fu evento inaspettato e felice. Tutto questo susseguirsi
di avvenimenti tanto incalzante che non è facile ricostruirne il
giusto ordine cronologico sta dentro i pochi giorni rimasti del
1944. Infatti la fine dell’anno già ci trova a S. Casciano di
Controni. Tiziano e con lui molti altri, quella notte tornarono a
Bagni alla Villa a festeggiare il fine anno e, in questa occasione,
ci fu una forte reazione guidata da Antonio lo slavo contro gli
ufficiali inglesi che avevano rifiutato loro l’ingresso alla
sala da ballo allestita entro il “Circolo Forestieri” di Bagni
alla Villa. lo non fui presente perchè a me fu affidato il
compito di rimanere a disposizione, in caso di necessità, entro
le mura del comando. Frattanto i reparti di Abetone comandati da
Franco Sisi e da Peppe Sogner, già da prima della battaglia di
Natale, erano stati dislocati in parte a Limano, altri nei pressi
di S. Casciano, parecchi a Lizzano Pistoiese, dove, sotto la
responsabilità di Pippo, forse in accordo con Armando, era stata
accolta anche la Brigata Costrignano proveniente dall’Emilia.
Stavano ovunque avvenendo molti cambiamenti. A Barga, era
rientrato il gruppo D, comandato da un altro pistoiese venuto di
recente: Edoardo Barsocchi. Remone, Antonio e Trieste avevano
preso posizione in Albereta, altri ancora in Siviglioli. Bortolo
fu nominato comandante o comunque responsabile della polizia
partigiana da poco istituita e del controspionaggio. Al comando si
stava parlando di documenti riservati tenuti fuori della portata
dei non addetti, dietro l’altare della Santa Gemma Galgani,
nella Villa Giannini. Mario Eschini portò in formazione Giuliano
Brancolini in compagnia di Giorgio Arcangeli. Io mi trovavo al
comando centrale a regolare la distribuzione dei viveri e delle
armi nuove portateci dal Magg. Rossetti, nonché addetto ai
documenti segreti. Pippo riceveva persone, per noi, o per lo meno
per me e per la maggior parte di noi, sconosciute, e
successivamente si vociferò che Umberto di Savoia sarebbe voluto
venire a ispezionarci, il che generò risate e risentimenti. Per
queste ragioni Tiziano cominciò a contrastare Pippo. Pur tuttavia
niente era sicuro e nessuno sa chi avesse messo in giro tutti
questi discorsi. Il Maggiore Rossetti comunicò a Pippo che il
Gen. Clark voleva incontrarlo e si parlò di onorificenze, che
Pippo non avrebbe volute destinate a lui ma alla formazione. A un
certo punto fui incaricato di recarmi sul fronte. Quindi lasciai
S. Casciano per andare a prendere il comando in Granaio, passando
da Siviglioli. Di lì a poco venni di nuovo richiamato a dirigere
il gruppo Comando perché Pippo doveva andare all’incontro con
il Generale e voleva che stessi lì. Mi lasciò la responsabilità
di comando coadiuvato da Piero Michelozzi, che fino ad allora non
conoscevo. Quando Pippo rientrò mi informò che gli avevano
conferito la BRONZE STAR e che da allora eravamo stati accettati
come «reparto Autonomo in linea di fronte con gIi Alleati “
sebbene in realtà fossimo spostati in avanti in terra di nessuno.
La visita di un emissario, forse il Sen.TulIio Benedetti, riaccese
le polemiche su Umberto dì Savoia. Tiziano mi informò
ufficialmente della richiesta di ispezione da parte del principe
presentata da Benedetti stesso, insieme ci opponemmo a questa
eventualità. Anche Pippo allora fece marcia indietro. Nel
frattempo Marcello, comandante indipendente del reparto partigiano
attestato alle Cento Crocì-Boccassuolo, inviò una staffetta per
chiedere a Pippo di intervenire presso il comando Alleato, a causa
di disguidi che si stanno verificando in Emilia circa la
distribuzione dei lanci di rifornimenti aviotrasportati. Marcello
si trovava in difficoltà per carenza di armi e munizioni oltre
che di vestiario per i suoi uomini che erano continuamente sotto
pressione perchè esposti a scontri giornalieri, mentre al CUMER (COMANDO
UNITO MILITARE EMILIA ROMAGNA) le armi venivano incettate per la
“rivoluzione e la controrivoluzione”. Manrico
informò l’OSS e il Mag. Rossetti raccolse informazioni più
precise e dirette. Ci furono vari incontri svoltisi tutti o quasi,
entro la palazzina delI’OSS a Bagni alla Villa. Ad uno di questi
incontri venni convocato anche io e ricevetti ordini da Pippo di
recarmi a Boccassuolo, assieme all’uomo mandato da Marcello, per
comunicare a Marcello stesso di staccarsi dal CUMER, spostarsi
sotto l’Appennino Tosco-Emiliano per entrare in contatto con noi
e ricevere, per mezzo di lanci, i rifornimenti necessari. Al tempo
stesso ero latore di una lettera in sintonia con gli accordi presi
a livello militare, che trasmetteva alle missioni radio di
servirsi degli uomini venuti con me, per una distribuzione più
utile ai fini della resistenza. La lettera era stata portata dal
Magg. Rossetti ma era a nome del Magg. Abrignani. Era senza firma,
e fu firmata in quella occasione non so esattamente da chi perché,
tanto il Cap. Wergis, quanto Pippo e il Magg. Rossetti si
ritirarono nell’ufficio personale del Capitano. Pippo me la
consegnò, facendomi notare l’importanza di questa missione che
doveva essere comunque portata a termine, indipendentemente da
qualunque fosse stato l’esito finale. Ebbi la facoltà di
scegliermi i compagni che sarebbero venuti volontari: con me
vennero Guglielmo Toccafondi mio Vice comandante, Iliario Seghi e
Remo Spinelli.
A
questo punto mi vengono da fare due considerazioni veloci: una
riguardante la situazione emiliana di Marcello e l’altra,
relativa al clima venuto a istaurarsi dopo l’arrivo dei
pistoiesi: clima freddo e sospetto che già era stato avvertito a
Barga dopo l’arrivo degli uomini di Marcello. Circa la
situazione emiliana, si evidenziava facilmente anche in Emilia, la
poca influenza dei CLN che erano solo organismi di carattere
civile-politico e non militare. Non avevano assolutamente spazio
in campo militare, ma solo in senso logistico per viveri,
vestiario, alloggi, informazioni; comunque, anche in questi
settori, il loro apporto era alquanto discutibile. Per l’altra
considerazione, il discorso era ancora più complesso. Da Pistoia
erano arrivati personaggi di sicura fede comunista, ne cito uno
per tutti, Lidamo Frosini (la Ranca). lo avevo saputo da mia madre,
durante una mia visita in famiglia, che al PCI pistoiese c’era
la convinzione che la nostra formazione fosse sospetta di aderenza
monarchica, tanto che mia madre, mi disse che si era preoccupata
di chiedere all’allora segretario provinciale Gaiani, se non
fosse stato il caso di richiamarmi a casa. Gaiani invece la
consigliò dì lasciarmi dov’ero. Questi nuovi venuti, in un
primo momento, stavano molto abbottonati; cercavano, cioè, di
rendersi conto se quanto era stato detto loro a Pistoia,
risultasse vero o no. Devo dire che, Lidamo compreso, furono tutti
concordi nel riconoscere la correttezza usata in formazione, e in
particolare da Pippo, di non parlare di politica di partito, ma di
impegno di lotta, tanto che tutti rimasero al loro posto.
Lindano
Zanchi
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